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Recensione

Fighting Fantasy Salani 3: La Foresta Maledetta
Edizione Adriano Salani Editore 2018
autore/i Ian Livingstone
Recensore Dragan

Una foresta piccola e infame


“Solo un pazzo potrebbe avventurarsi nella Foresta Maledetta [...] ma tu hai deciso di tentare. Perché? Mah!”, ammiccava l’iconico retro di copertina dell’edizione EL della “Foresta maledetta”, secondo Dimensione Avventura portato in Italia cinque anni dopo l’esordio in Uk nel 1983.

E in effetti, nel pieno canone dei primi Fighting Fantasy, non c’è altro che il puro e semplice spirito d’avventura a guidare le mosse del solito eroe senza nome, che si insinua in un ginepraio a caccia del leggendario Maglio di Stonebridge per esaudire l’ultimo desiderio di Gambalunga, un nano con i genitori dotati di sarcasmo che ha incontrato morente: recuperare i due pezzi dell’artefatto e recapitarli al re Gillibran che, così, potrà riunire il popolo e combattere i troll.

Rispetto agli altri Ff classici è, quindi più una caccia al tesoro, invece che la ricerca ossessiva di uno stregone o un tiranno da abbattere, a muovere le fila di questo librogame, un classico riportato in Italia nell’edizione Magazzini Salani rivisitata secondo le pubblicazioni inglesi Scholastic.

Alla quarta recensione che chiude il ciclo di questi primi prodotti, il bilancio che va tracciato è comunque positivo: non si possono sottacere i già citati punti apprezzabili, la bella impaginazione vintage, il font chiaro e leggibile, le copertine di grande impatto grafico e piacevoli al tatto, l’aver reimmesso sul mercato titoli che erano di difficile reperibilità.

Allo stesso modo restano confermate le criticità: le regole a fine libro, la suddetta copertina che si deteriora rapidamente, e in quest’ultimo specifico caso anche un errore di rimando poi corretto in ristampa (al 149, 106 invece di 306) e un’errata impaginazione del numero del paragrafo 42 (a sinistra invece che centrato) che invece dà fastidio solo all’estetica, non alla funzionalità.

Il librogame di Livingstone resta un gioiellino, a prescindere da alcune pecche che pure mostra, per chi scrive comunque più godibile di altre opere considerate maggiori dello stesso autore o della coppia con Steve Jackson. Le caratteristiche positive sono la sua compattezza e snellezza; quelle negative, il rigidissimo true path che rende davvero ostico il solo e unico percorso per mettere le mani su entrambi i pezzi del maglio.

Date per assodate le caratteristiche personali dell’eroe, le arcinote Abilità, Resistenza e Fortuna, il gioco si svolge su una mappa, che sarà bene disegnarsi (o reperire già pronta) per godere appieno dell’architettura che l’autore ha studiato per questa Foresta.

Ci si muove in tre direzioni: in primis, verso Nord, avvicinandosi alla meta, il villaggio di Stonebridge, che però è inutile affrettarsi a raggiungere prima di aver ritrovato il maglio, pena il fallimento della missione. C’è la possibilità di ricominciare una seconda partita in teoria in continuity all’altra, ma in realtà in cui si ritroveranno ex novo tutte le situazioni già vissute, e quindi di fatto equivalente a essere morti e ricominciare daccapo.

Dato che Livingstone non concede la possibilità di tornare a Sud, prima di salire di livello in verticale è bene esplorare in lungo e in largo in orizzontale, nelle direzioni Est-Ovest. Tenendo presente che sono stati inseriti numerosi paragrafi di raccordo per non ritrovarsi a rileggere sempre le stesse cose: espediente apprezzabile, ma che talvolta rende possibile imbattersi in certe situazioni solo quando si va per esempio da sinistra a destra ma non se si cammina al contrario.

E sulla base dei voleri imperscrutabili del creatore di questo bosco, con questo meccanismo le scelte di andare da una parte all’altra piuttosto che viceversa possono portare, per capriccio del caso, anche a mancare incontri importanti ai fini del gioco. Ancora una volta, sarà una mappa dettagliata a fare la differenza.

Sviscerata la geografia, si capisce come la scelta del percorso, ancorché dettata dal caso, sia cruciale per risolvere l’avventura. E una volta fallito l’incontro con il nascondiglio di uno dei pezzi del maglio, data l’impossibilità di tornare indietro, a quel punto la partita sarà, di fatto, già persa.

E come se non bastasse, l’autore è stato davvero infido posizionando i due tesori in punti davvero lontani tra loro della sua mappa, peculiarità che costringerà a rendere tortuoso un percorso che, altrimenti, se diretto verso Nord a tutta birra non richiederebbe che una manciata di paragrafi per arrivare alla meta. Fallendo l’avventura.

A complicare il true path, anche l’ulteriore filtro dato da un oggetto che, pur avendo trovato la location giusta, diventa essenziale possedere per poter mettere le mani sulla testa dell’arma da guerra che bisogna riportare ai nani: senza aver preso quell’oggetto, si è di nuovo perduti.

L’inventario è, come si sarà capito, un’altra delle croci-delizia. Come già avvenuto nei precedenti volumi, all’autore poco cale se nello zaino miracoloso si hanno 30, 40 o 50 oggetti. Senza, perciò, pensare di spoilerare alcunché evidenziandolo, si può, così, serenamente trasformare il proprio alter ego in un accumulatore seriale, con la certezza che qualsiasi articolo, anche il più singolare, avrà un impiego nell’avventura e servirà a facilitare sfide altrimenti comunque risolvibili (tranne quella decisiva già citata su) in modo alternativo con dadi, combattimenti o fortuna. Ovviamente, ammesso di trovare il posto giusto in cui impiegare nel proprio cammino quel tale oggetto, altrimenti del tutto inutile.

La traduzione è rimasta quella di derivazione EL di Saulo Bianco, ma con la curatela di nomi noti di Lgl come Francesco Di Lazzaro e Mauro Longo che hanno reso più aderente il testo alle scelte embrionali dell’autore. Scompare, così, per fare qualche esempio, il nome posticcio di Proteus il trasformista, nemico affatto memorabile seppur ritratto in copertina, mentre la Viverna acquisisce una nuova personalità rispetto al banale dragone alato dei vecchi tempi.

È un librogame piccolino ma complesso, godibile ma niente affatto amichevole. Forse non raggiunge le vette dei più incensati della serie, ma dà sicuramente loro del gran filo da torcere. Ha il pregio di una struttura semplice per quanto articolata e il difetto di un percorso davvero troppo, troppo severo in un’avventura che sarebbe da finire in una mezzoretta e richiederà invece diversi tentativi. Tra chiari e scuri, comunque un’opera che non si può non avere.

Longevità 7: 

Vale la pena sviscerarlo a fondo, anche in più partite, per incontrare tutti i possibili nemici e vivere le situazioni più gustose tirate fuori dall’assurda fantasia dell’autore.

Difficoltà 7: 

Non impossibile da finire per combattimenti e pericoli, scontri sempre alla portata, ma merita mezzo punto in più la scelta di complicare il true path già rigido dei due oggetti con la richiesta di un ulteriore elemento da avere nell’inventario per sbloccare una delle due situazioni.

Giocabilità 7: 

Accettati i pregi e i difetti di un regolamento secco e basilare come quello di Ff, il motore dell’avventura funzionerà senza ingolfarsi.

Chicca: 

È bello lanciarsi alla scoperta della solita, astrusa successione di bestie, mostri, giganti, nani e ballerine d’ogni genere che costituiscono la teoria dei nemici di ogni Ff che si rispetti: anche qui non si resterà delusi, perfino con l’ennesima citazione della serie Squilibrio (gli autori avevano una macchina del tempo, ormai è chiaro): quell’Uomo Pesce citato in una leggendaria instant death della saga più contrastata e che pure trent’anni prima Livingstone ha deciso di copiare, propinandolo al paragrafo 181.

Totale 7: 

Ha i suoi difetti, ma non si può non considerare una delle tappe obbligate per comprendere e vivere la piccola grande storia del librogame nei favolosi anni Ottanta.