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[quote=Prodo]Bel corto nella sua semplicità, che declina però proprio sul più bello. L'autore ha dimostrato di conoscere e padroneggiare bene due temi: quello della commedia dolce-amara anni '50-'60, che in Italia ha avuto tanta fortuna (l'ammiccamento a Sordi è evidente fin dalla locandina, ma l'approccio mi ha ricordato anche altri attori che hanno fatto il Genere come Totò, De Filippo, Aldo Fabrizi) e quello della romanità genuina, un po' greve e soprattutto popolare del periodo, simpatica e misera, nobile e cattiva, in una parola umana, che principalmente Alberto Sordi ha trasposto così bene, quando diretto da registi all'altezza, nel nostro immaginario cinematografico. Onestamente è difficile leggere la prima parte de Il Palazzinaro e non immaginarsi nella veste dell'imprenditore arrivista e arruffone de Il Marito o de Il Boom, e la stessa parlata della nostra controparte, certi ammiccamenti, alcuni rimandi, colgono a piene mani da questi film (anche se poi le citazioni abbondano: dal già citato Pozzetto, all'Elide di C'eravamo tanto amati, passando per molte altre piccole chicche che a un appassionato-drogato della settima arte come me non possono che fare piacere). Detto questo, il racconto è pesantemente scisso, e questo mi fa pensare che sia stata utilizzata un'opera precedentemente concepita e adattata da un certo punto in poi per ricadere in quelli che erano i dettami del bando di quest'anno. Mi spiego. La prima delle tre macrofasi della narrazione (quella del nostro inizio e dell'allisciamento dell'onorevole Mariotti) è curatissima. Al di là della semplicità dell'opera, che non indulge in regolamenti e si presenta come una sorta di Scegli la tua Avventura in chiave nazional-popolare nostrana, ci troviamo di fronte ad ambientazioni e personaggi estremamente dettagliati, a un andamento istrionico in cui i rimandi si sprecano, e l'ironia la fa da padrona, e in cui la cura dei particolari è evidente. Oltretutto proprio in questa fase è presente l'unica, intelligentissima, dinamica di gioco vera e propria, ovvero l'esplorazione dell'ambiente che ci circonda allo scopo di scoprire di che pasta è fatto il buon Mariotti. Indagine che ci consentirà, nel momento clou, di decidere adeguatamente come acconciare la nostra casa per far colpo sul referente politico di turno (con tutte le icone del tempo: il busto di Benito in una fase in cui, sottobanco, la rivalutazione del personaggio era già iniziata e forse mai finita, il crocifisso, la moglie onesta e buona ma poco attraente, il quartiere popolare composto da baracche, la ricerca spasmodica del posto al sole). Tutta questa cura tende a scemare già nella seconda fase: per andare avanti dobbiamo sposare in pieno il nostro ruolo di cattivo. Costruire con materiali di qualità ci porterà al fallimento, ma non basta preferire l'opzione da sciacalli (che ci trasformerà in assassini): bisognerà poi mettere da parte ogni morale e mandare qualcuno in galera al posto nostro per andare avanti. Qualsiasi tendenza a indulgere nel recupero del nostro lato umano verrà sanzionata senza pietà: questa scelta mi è piaciuta molto, l'ho trovata netta, coraggiosa, estrema; tuttavia andava dettagliata e approfondita molto di più perché declinata così poco fa intravedere molto per poi regalare poco. Ho trovato per esempio troppo blanda la decisione di lasciare a una nostra semplice scelta la possibilità di salvarci dalla galera o meno dopo il crollo della palazzina. Mi sarebbe piaciuta un'evoluzione simile a quella della prima parte, in cui fosse necessario un minimo di sbattimento e qualche scelta oculata per tirarsi fuori dai guai. Così come è stata strutturata la cosa in pratica ci viene chiesto "Vuoi andare in prigione?" e tocca a noi decidere se farlo o meno. Problemi di spazio con tutta probabilità che hanno impedito un maggior approfondimento da un certo punto in poi. Tutti questi elementi inoltre ci distaccano completamente dall'abbrivio iniziale, perché, come ha detto Seven, Alberto Sordi al dunque lasciava sistematicamente che a trionfare fosse il lato umano; se operiamo in questo modo invece noi andiamo incontro a una fine prematura. La cesura da quella che era la volontà iniziale si vede anche nella qualità dello scritto che tende a scemare e il declino prosegue anche nella terza e ultima fase, quella della nostra vecchiaia e dell'avvento apocalittico. I paragrafi si fanno più brevi, tante situazioni non vengono approfondite, si scivola sempre di più verso l'accennato o il non detto (vedi la citazione di Telenauta, o i paragrafi finali in cui andiamo a trovare i nostri inquilini e le molte diramazioni possibili vengono solo accennate). Questa discrasia così netta fra l'accuratezza delle fasi iniziali e il "tirar via" di quelle finali mi fanno pensare che l'autore non abbia avuto adeguato tempo per terminare il lavoro o che, semplicemente, abbia adattato qualcosa di già concepiti ma giocoforza si sia trovato "stretto" nei paletti regolamentari e non sia risucito a esprimere in questo nuovo contesto tutta la verve che aveva denotato in prima battuta. I tocchi di classe continuano a esserci (bellissimo per esempio l'epilogo che ci attende se ci affidiamo a un tardivo e ritrovato spirito religioso di fronte alle prime avvisaglie della fine del mondo, o l'easter egg del paragrafo 42, in cui l'autore ci spiega la sua idea di Apocalisse), ma la grande ironia e la cattiveria nero-comica, che sono i punti di forza de Il Palazzinaro, scemano. Quando si sceglie una struttura così semplice è necessario giocoforza puntare tutto su una grande capacità narrativa, e se questa viene meno, anche se solo parzialmente, il racconto ne risente e rimane privo di armi. Questo corto per i primi 20 paragrafi mi ha divertito come in poche altre occasioni i precedenza. Poi si è assestato su un livello medio, e alla fine le sensazioni che mi ha lasciato sono state più tiepide di quanto non mi sarei aspettato dopo l'entusiasmante partenza. Rimane un buon lavoro di estrema intelligenza e che denota la capacità narrativa dell'autore, che è uno scrittore di ottimo livello: complessivamente però, pur valutandolo positivamente, avrei potuto candidarlo per la vittoria finale solo se l'eccelso ritmo iniziale, completo dei suoi corollari, si fosse mantenuto costante per tutti i 51 paragrafi. E lo dico a malincuore, perché c'erano le carte in regola per sfornare un piccolo capolavoro. [b]Voto inviato a Babacampione[/b][/quote]
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