Nel post precedente riflettevo un attimo su questo mancato senso dello stupore che l'italiano medio ha -dunque non parlo esattamente di noi, appasionati di Fantasy, ma in generale- e cercavo di stabilire delle motivazioni valide... L'argomento potrebbe essere coerente e non esattamente OT (perché garantisco per Mornon che la sua intelligenza valica il problema con delle pronte soluzioni :-).
Forse ci sono ricerche approfondite, in tal senso, ma non saprei quali e dove...
Una delle riflessioni che m'è capitato di fare, è che questo mancato stupore per la fantasia -e anche per il Fantasy, dunque- sia da ricercarsi nella stretta convivenza che l'Italiano esercita con il suo Passato: l'italiano non vive, ma convive con lo storico... La convivenza a volte (come per me e non solo) è tanto stretta che, potremmo dire, egli smarrisce il dato temporale: il prima o il dopo in città come Roma perdono del tutto significato...
Sai che tutto passa e che tutto è caduco, e che la contemporaneità non è altro che il frutto di eventi più o meno casuali che possono coincidere con l'edificazione d'una struttura colossale come il Colosseo, o il frenare di botto davanti a un semaforo rosso; quando acquisisci questo tipo di rapporto, o di familiarità, con lo storico, tutto t'è più o meno indifferente...
Anche l'arte che si respira in tutta Italia, non fa dell'italiano un soggetto dedito allo stupore o potenzialmente suscettibile allo stupore.
In termini narrativi, aldilà di quale sia il ruolo che ci vede investiti, questo si traduce con una fascinazione minore di fronte allo storico; mi chiedo, cioè, se un SdA possa mai essere concepito in Italia con quel fervore patriottico di cui Tolkien si fa carico, scegliendo popolazioni più o meno celte per identificarsi o stabilire un contatto con il proprio passato.
Per noi questo sarebbe impossibile: si sono succedute così tante etnie, in Italia, che risalire ad una cultura e ad un gusto comuni sarebbe impresa da folli.
Nondimeno, non avremmo poi quello stupore per l'antico che si subisce tanto bene fuori dell'Italia, e specie in America.
Credo che l'argomento centri eccome perché Mornon stabilisce un contatto col suo passato di tipo empirico, cioè basato sull'esperienza di un passato che si rende manifesta nell'uso del linguaggio: lo stupore di cui si fa carico il lettore, è uno stupore destinato a perdurare per via d'un idioma ad egli meno familiare.
Non so se vi sarebbe più stupore in una visione realistica e di ricostruzione degli ambienti, come forse vale per il romanzo storico, ma questo farebbe cadere la finzione di chi si dice 'contemporaneo' a qualcosa, e dunque eterogeneamente indifferente al quotidiano...
Invece vale la pena riflettere su ciò che Mornon ci dice anche senza volerlo: e cioè che la lingua italiana, è veramente la nostra bandiera e il nostro modo di interagire nella diversità di regioni, costumi e usanze...
Anzi: l'apporto che ogni regione, tradizione, dialetto ha offerto per la composizione d'un vocabolario del quale si smarriscono confini di spazio e di tempo, è tanto generoso che non si potrebbe nemmeno misurare.
In questo senso, Mornon stabilisce un forte contatto con la sua origine, poiché la Scuola Siciliana vien prima di Dante, e al contempo direi che affratelli gli italiani in un vero senso storico, l'unico possibile: l'intendersi comune attraverso un linguaggio che ci costringe a non essere 'ignoranti', cioè a non ignorarci vicendevolmente... perché ignorare l'etimologia di una parola regionale o addirittura locale, significherebbe togliere qualcosa che fa parte della nostra stessa ricchezza.
Credo cioè, in conclusione, che lo stupore per la lingua sia davvero l'unico possibile, l'unico in grado di stabilire un rapporto col lettore legato a quel senso del meraviglioso che ogni buon Fantasy deve assumere.
PS: direi che a queste ipotesi possa far coro un intervento molto datato di Pier Paolo Pasolini: http://www.youtube.com/watch?v=wkqoc8blFvI